Sebbene lo strascico dell’epidemia e l’eco della guerra accompagnino ancora i nostri giorni, lo scorrere del tempo ci ha condotto ad un nuovo Natale ed all’esordio del nuovo anno. La tradizione liturgica ha celebrato nella notte, nel suggestivo fascino dell’oscurità, dove più è facile fissare l’attenzione della mente e del cuore, l’attesa della nascita ma, cosa o chi ciascuno di noi ha atteso? Veramente siamo disponibili a credere che in quella arrabattata culla sia stata adagiata la bontà di un dio che per amore dell’uomo ne ha assunta la carnalità, o forse abbiamo scelto di celebrare la più semplice laicità del Natale, fatta di doni, di luci e di cibi nella concretezza del nostro oggi. La festa del Natale però scuote, poiché improvvisa conduce alla scelta di senso, a quella complessa inquietudine in cui alberga il domani ed a cui rispondiamo, mentre il quotidiano che ci impegna e ci interroga, appare in balia dell’incertezza. Siamo ancora capaci di appartenere a quella storia apparsa nel mondo con la nascita di un bambino a Betlemme? O piuttosto ci accostiamo al Natale con semplicità per viverlo come un’esperienza di cui essere osservatori e non protagonisti. Nel nuovo anno, consapevoli di quanto la pandemia ci ha insegnato, cerchiamo di recuperare il tempo perduto; quel tempo che abbiamo privato di valore, svuotato di significato, vittime ed artefici del nostro stesso frenetico oggi e domani. Guardiamo al nuovo anno con laicità o con fede, comunque con gioia creativa, con lo sguardo stupito e meravigliato dei pastori, con l’intelligenza curiosa dei magi, con il desiderio di bene che i genitori sentono per i figli.
A tutti e per tutti sereni giorni.